Intervista a Ian Paice del 2005 (Intervistato allo Storyville di Arezzo per ciao.it )

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Abbiamo avuto l’onore e la fortuna di intervistarlo, e questo lo devo a Tarkun che 2 ore prima del concerto mi dice: “Ma perché non lo intervistate?”. Una frase di per sé innocua ma che nasconde e allo stesso tempo prova gli effettivi 50 e passa anni del caro Tarkun. Allo stesso tempo prende il telefono e chiama il direttore del settimanale “Arezzo” e di “Casentino2000” (mensile della lacrimevole valle in cui, in questo momento della vita, vivo) che ci offre senza problemi due pass/stampa per l’intervista.

Ma tagliamo corto, questo che segue è l’articolo pubblicato sul settimanale “Arezzo” del 9 Gennaio 2006.

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“Pronto, Nicola?”
“Oh, ciao Michele, come stai?”
“Bene, bene… senti domani sera c’è Ian Paice allo Storyville di Arezzo, ho i biglietti e si dice sia una persona alla mano…”
“Ah si? Ed io ieri sera ero a cena con Roger Glover, ti saluta…”
“Ma dai, dico davvero! C’è Ian Paice che suona i Deep Purple con la Matt Filippini Band… che fai vieni o no?”
“Che domande, certo che vengo… alle 20.30 a casa tua?”
“Perfetto, senti porta anche qualcosa di tuo… se magari riusciamo a parlarci, chissà…”
“Si si, certo… ma faremo di più… faccio un giro di telefonate e poi ti faccio sapere… con l’inglese come sei messo? …che ne dici se lo intervistiamo?”
“Beh sarebbe grande. Allora ci conto, a domani… e ricambia i saluti a Glover”
“Sarà fatto, a domani… ho una telefonata in arrivo, ah è lui”.

La serata è bellissima. Lui è sempre potente, delicato e raffinato come un tempo e la Matt Filippini Band ricrea quell’atmosfera e quel groove inconfondibile. Già al terzo brano sfornano una “Strange Kind Of Woman” di una potenza rara. Una tribute band coi fiocchi ed anche un po’ anomala, ha quel batterista che somiglia così tanto all’originale…
Ma lasciamo lo humor agli inglesi, sono più bravi di noi, anche in questo.
Ian scherza sul palco, a metà concerto scende dalla batteria e si avvicina al microfono scuotendo la testa “stop, finish…” poi ci guarda e con l’accento inglese impastato dice “Ancora? Ah okay”. Da qui in poi è un susseguirsi di rock’n’roll purpleiani che alimenta l’adrenalina del pubblico. Ripercorriamo le migliori rock songs della band inglese di Hertford, insieme ad uno dei più importanti batteristi viventi. L’ora di concerto vola e grazie al suo manager riusciamo ad entrare nel camerino dove, emozionati, attendiamo Ian che ci dedichi i pochi minuti a disposizione per questa breve intervista. Eccolo, ci saluta, ci presentiamo ed iniziamo.

D.: Ciao Ian, il concerto di stasera è stato davvero bello e il pubblico se lo è goduto al massimo, cosa si prova ad essere ancora così amati e apprezzati dopo 40 anni di successo?

IAN: È abbastanza emozionante, posso dire che è stato emozionante dopo 10 anni ma lo è anche dopo 40. Io credo che se provi a dare il meglio che puoi per il pubblico, loro lo sentono, ti seguono nel tempo e si fidano di te… quando vado sul palco cerco di dare loro tutto quello che posso, anche in un piccolo e simpatico locale come questo.

D.: Quindi il tuo successo non finisce mai…

IAN: Beh sai, questo è ciò che faccio, suono la batteria, non faccio nient’altro. E quando non parlano di me io non suono e questo non è una bella cosa. Ho così tanti amici in Italia, così tante possibilità di fare qualche spettacolo ogni mese… questo mi permette di mantenermi “in forma”. Qua riesco a mangiare cibo fantastico e bere del buon vino e mi diverto veramente tanto (ci guardiamo e ridiamo.ndr).

D.: Abbiamo apprezzato la tua arte anche nel concerto al Cavern Club con Paul McCartney, dove trovi ancora tutta la grinta per continuare a suonare in questo modo?

IAN: Beh, come dicevo prima, non faccio nient’altro che suonare la batteria. Quando sono a casa divento una specie di vegetale, mi siedo nella mia poltrona, guardo la televisione ed esulto per la mia squadra preferita ma quando ho la possibilità di fare cose diverse come con Paul è una occasione meravigliosa, è sempre musica, ma suonata con musicisti diversi ed è tutto così eccitante perché ogni minuto è una nuova esperienza, ogni minuto è un mistero. Se non avessi suonato la batteria penso che sarei invecchiato molto velocemente perché non ho più necessità di farlo per i soldi, lo faccio per me e se vado sul palco ho bisogno di sapere che posso suonare bene. Quando faccio questi piccoli spettacoli è divertente, i ragazzi si divertono a suonare con me ed è lo stesso per me.

D.: C’è differenza tra il pubblico di oggi e quello di ieri, degli anni 70?

IAN: Beh, il pubblico degli anni 70 ora ha 50 anni ma quando vai ad un concerto l’unica differenza è che queste persone sono tra le ultime file, mentre quelli che stanno davanti sono ancora ragazzi di 15-17 anni… ed è strano per me che abbiamo finito l’ultimo tour in giro per il mondo in 38-40 paesi e l’età media del pubblico era 19-20 anni, quindi niente è cambiato, un buon spettacolo di rock’n’roll è esattamente lo stesso di 35 anni fa. È eccitante, è musicale, è un po’ pericoloso, è tutto ciò che altri generi musicali non sono ed il fatto che tu abbia 15 o 55 anni non cambia nulla. Se qualcosa è eccitante ti alzi in piedi, se qualcosa è musicale lo ascolti, se qualcosa è divertente ti piace, non c’è differenza.

D.: Quali sono i batteristi del tuo tempo che hai amato di più, quando hai iniziato a suonare la batteria?

IAN: Quando ho iniziato, fortunatamente per me guardavo e ascoltavo i batteristi più famosi del mondo e loro non suonavano rock’n’roll ma jazz e sebbene non riuscissi a fare quello che facevano loro ne ho ricevuto le influenze e le idee, così quando ne ho avuto la capacità queste idee mi sono uscite fuori. Se c’è una differenza nel mio modo di suonare è che io suono rock’n’roll nel modo in cui i jazzisti dovrebbere suonare il rock’n’roll. I jazzisti non possono suonare rock’n’roll ed io non posso suonare jazz (ride.ndr)… Sì, per me la musica deve avere una bella miscela di swing, così come lo deve avere lo spirito del Rock’n’roll.

D.: Noi pensiamo che oggi sia difficile trovare batteristi che riescano ad unire arte e tecnica, non pensi che oggi sia tutto basato troppo sulla tecnica?

IAN: (mentre parla si toglie i suoi occhiali con lenti blu e li pulisce in maniera del tutto naturale)
Non penso che il problema sia troppa tecnica, penso che il problema sia che tutti imparano la stessa tecnica e questo significa che abbiamo dei favolosi giovani batteristi ma sono tutti uguali, ed è veramente difficile trovare un batterista che dica qualcosa di diverso rispetto ad un altro. Ma quelli che la mia generazione ha avuto e anche la generazione prima di me, sono musicisti con individualità. Sapevi quando era John Bonham a suonare, sapevi quando era Ginger Backer, sapevi quando era Mitch Mitchell; hanno differenti stili e un differente sound… e tu potevi davvero dire chi fossero, li potevi riconoscere. Adesso è molto diverso e difficile dire quale batterista stia suonando, non perché non siano bravi, sono fantastici, ma è quasi come una fabbrica che produce cose in serie che, seppur di valore, sono tutte uguali… sai, così come i ferraristi, sono tutti del Team Ferrari e sono tutti grandi ma sono tutti specializzati nella Ferrari.

D.: Quindi la cosa migliore è creare una fusione di stili?

IAN: Io penso che la cosa importante è che se hai qualcosa di diverso non devi lasciartelo mai scappare, anche se questo significa rinunciare a qualcosa di tecnico, di brillante. Non lasciare che la tua capacità individuale sparisca perché se sei il numero uno non devi essere nessun altro e non è bello essere il numero 328, non è bello essere il John Bonham numero 75, c’è un solo John Bonham, c’è n’è solo uno di me o di te e se il tuo nome è Luigi Petrucci sii il Luigi Petrucci numero 1, questo è l’importante.

D.: Hai perfettamente ragione, Ian. Un’ultima domanda, quali sono i tuoi progetti futuri con la Matt Filippini Band e quali i tuoi personali?

IAN: Beh con Matteo ci divertiamo molto… sta facendo nuove registrazioni delle quali abbiamo già fatto alcune tracce ma la carriera di Matteo è in crescita e ci siamo solo divertiti un po’ negli ultimi 4-5 giorni. Forse in futuro faremo qualche altro spettacolo ma per il prossimo anno sarò molto impegnato con i Deep Purple, quindi non credo di avere molto tempo per entrambe le cose. Lui sa cosa vuole per la sua carriera… la mia carriera sono i Deep Purple e questo per me è solo un divertimento e un allenamento necessario sul palcoscenico.

D.: E quando la reunion con i Deep Purple?

IAN: Si, il prossimo tour mondiale inizierà a metà gennaio e saremo in Italia a marzo per 5-6 concerti e poi in jappone, australia, canada… il prossimo anno credo ci saranno molti mesi di lavoro…

D.: Made In Japan II?

IAN: Forse, perché no… forse (ride. ndr).

Ci saluta con un grande sorriso e una forte stretta di mano guardandoci negli occhi.
Questi minuti ci hanno permesso di conoscere meglio quel personaggio semplice che è Ian Paice. Un personaggio sereno, con una gran voglia di amare la musica e la vita, con la forza di voler continuare a suonare dopo tutto il successo che ha avuto.

Mentre varchiamo la porta dello Storyville teniamo ben stretti nelle mani i dvd macchiati della dedica di Ian.

Nicola Barghi e Michele Brandi
Domenica 4 Settembre 2005
Storyville, Arezzo 
ciao.it

 

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