Perfect Strangers

Recensione di Armando
369

Anno di Grazia 1984… era da un po’ di tempo che se ne parlava, ma finalmente il sogno dei fans di rivedere la classica line up dei Deep Purple riunita si avvera… Ian Gillan, Ritchie Blackmore, Roger Glover, Ian Paice e Jon Lord sono di nuovo insieme.

Dopo le solite indiscrezioni che facevano trapelare il fatto che la reunion si era evoluta progressivamente negli anni, finalmente nell’ottobre del 1984 esce Perfect Strangers. Sia la stampa che il pubblico accoglie caldamente l’avvenuto ritorno e gli stessi Deep Purple sono molto entusiasti ed eccitati della musica che hanno prodotto e di ritornare on the road per suonare i loro classici e il nuovo materiale.

L’album, ottimamente prodotto da Roger Glover (già responsabile degli ultimi album dei Rainbow) non delude le aspettative: è molto vario e i Deep sfornano un disco di chiaro stampo rock anni 70 suonato però con una rinnovata maturità tecnica e compositiva che mancava in passato.

Si parte con Knocking at your backdoor, con un intro di Lord molto suggestiva ed un assolo grandioso di Ritchie, in pieno stato di grazia… il pezzo è molto bello ed attuale ed entra subito a far parte dei classici del gruppo, così come Under the gun, un classico Hard Rock tirato che ci dimostra che i nostri non hanno perso lo smalto di un tempo, sia compositivo che tecnico; degno di nota in questo brano è anche la citazione del compositore classico di Edward Elgar, Pomp and Circumstance Marches.

Nobody’s home, anche se suona un po’ familiare ai più attenti ed accaniti fans del gruppo, è un altro esempio della perfetta fusione tra i musicisti che rivela la rinnovata alchimia tra di loro… bel riffone ed un’ottima prova di tutto il gruppo confermano che la reunion funziona. Forse solo Mean streak è una spanna sotto al materiale pubblicato… ma comunque Ritchie ci regala un altro assolo degno di nota.

Il momento clou arriva con la title track. L’intro di Jon Lord ci accompagna nell’incedere maestoso, quasi Zeppeliniano, di Perfect Strangers, il brano che forse rimane più scolpito nella memoria di tutti i fan, che rinverdisce i fasti degli anni Settanta e contemporaneamente pone le basi del futuro del gruppo.

Il primo brano del lato B, A gypsy’s kiss, ci chiarisce, se mai ce ne fosse bisogno, la linea che il gruppo intende seguire: hard rock potente, una ritmica quadrata, Glover e Paice in grande spolvero, un Gillan dal cantato forsennato e riminiscenze classiche e scale zingaresche con cui lo stregone Ritchie e il mago Jon si cimentano regalandoci ancora una volta una perla da mettere nella bacheca Purple dei capolavori.

A coronare il tutto ci pensa Wasted Sunsets, che ci ammalia con la sua melodia e si aggiunge alle bellissime ballad cariche di feeling del passato come When A Blind Man Cries e Soldier Of Fortune. Anche qui il nostro poetico menestrello si supera ancora una volta con un assolo tra i più belli della storia Purple.

Chiude Hungry Daze, con una citazione nel testo da parte di Gillan del loro brano più famoso, Smoke on the water. Un ottimo brano con un bel synth che conclude dignitosamente l’album.

Sulla riedizione rimasterizzata dell’album si possono ascoltare altri due bei brani registrati dal gruppo all’epoca: Not responsible è un brano atipico dal bel riff con dei bei cambi di tempo ed una interessante linea di basso di Glover. Son of Alerik è invece la testimonianza su disco della prima Jam che il gruppo fece quando si svolsero le prime sessioni per l’album.

In conclusione, grande ritorno di uno dei gruppi fondatori dell’hard rock anni Settanta ed un ottimo album da aggiungere nella “discoteca” personale.

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