Deep Purple a Riolo Terme 2001

Recensione di Igor Italiani
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Forse lo hanno fatto per non sentirsi sminuiti di fronte a quanto mi avevano recentemente offerto le altre ‘leggende’ a nome Jethro Tull e Rick Wakeman (si, come no?), in ogni modo i Deep Purple sono stati l’ ennesimo grande gruppo che ha regalato l’ ennesimo grande concerto al sottoscritto.

Esperienza, routine, inutili riproposizioni storiche…direi proprio di no, bensì una dose enorme di cuore e passione da parte dei simpatici vecchietti, caratteristiche che hanno trascinato i 6/7 mila presenti a Riolo Terme per circa due ore (forse un po’ pochine, considerata la lunga attesa per i cinque) di sfolgorante spettacolo.

Coadiuvati dalle soffuse luci, di colore ovviamente viola, alle 22 Ian Gillan e soci hanno subito scaldato l’ atmosfera, sfoderando una inaspettata “Woman from Tokyo”, che ha immediatamente mostrato una band in gran forma.

E sbrigate le formalità del recente passato, con la funkeggiante “Ted the mechanic” (proprio un bel pezzo), i DP hanno iniziato a macinare i riff che li hanno reso famosi…anzi, anche quelli degli altri, dato che a metà concerto si sono prodotti in una sfavillante operazione di improvvisazione: Affidato il ruolo di protagonista assoluto al poliedrico Steve Morse (che grande chitarrista!), intento ad impersonare un juke-box vivente, i nostri hanno sciorinato uno dietro l’ altro estratti di Van Halen, Jimi Hendrix (l’ immortale “Little wing”), Beatles, Yes (“Roundabout”), prima di arrivare all’ epocale riff di “Smoke on the water”.

Strepitoso. Come strepitosa è stata la gonfiata versione di “Speed king”, posizionata prima dei bis e farcita degli assoli di Don Airey (che sostituiva il convalescente – per operazione al ginocchio – Jon Lord) e Steve Morse, i quali si sono sfidati in un duello all’ ultima nota, Roger Glover ed infine Ian Paice. Ed i bis? Beh, i DP sono tornati in scena, dopo una breve pausa, con “Black night”, per poi passare al loro primo singolo, “Hush”, e chiudere in bellezza con “Highway star”, come fanno ormai da tempo immemorabile.

Ian Gillan ha cantato, come solo lui sa fare, fino alla fine, ed il resto del gruppo non gli è stato da meno, con uno Steve Morse che ha cancellato definitivamente lo spettro di Blackmore…perlomeno dal vivo. Prima di chiudere, una menzione la meritano anche gli italiani Sungift, discreti opener guidati dall’ italo-giapponese Kumi e già di supporto a Vasco (ma anche al Gods), ed il fatto che, non so come, non ha piovuto sulle nostre teste. Considerato che il cielo si era fatto ben presto tetro, questa non è una cosa da poco.

Chissà, forse come ha detto uno dei miei amici, oggi anche Dio voleva ascoltare i Deep Purple!

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