The House Of Blue Light

Recensione di Antonio
645

Nei primi mesi del 1987 esce quello che forse è considerato, sia da critica che pubblico, l’album più brutto della mark II. Nei ’70 questa formazione, con i dovuti alti e bassi, era stata perfetta, negli ottanta era tornata col bellissimo perfect strangers e poi….?

E poi nell’87 ecco venire appunto alla luce THE HOUSE OF BLUE LIGHT del quale colpisce subito la misteriosa copertina. Ma andiamo a conoscere una per una le dieci songs dell’album. Si inizia con BAD ATTITUDE aperta da un suggestivo organo di mr. Jon Lord.

La canzone procede con uno spedito e deciso sound e c’è spazio per un assolo di Blackmore. La seconda traccia è THE UNWRITTEN LAW e segue come stile e sound la precedente. Molto bello il ritornello e spazio per un’assolo di Paice nel finale. Nello svanire della batteria ecco che arriva decisa più che mai la terza traccia CALL OF THE WILD, del tutto diversa dalle due precedenti e canzone molto carina dalla struttura semplice ma che prende come poche.

Con la quarta song torniamo invece ad un rock duro e cattivo; è il momento di MAD DOG aperta un riff aggressivo del maestro Blackmore e continuato dalla voce di un Gillan che se la cava alla grande. Da notare un solo di Lord niente male. Dopo mad dog è il turno di BLACK & WHITE introdotta dall’armonica di Gillan. Un brano abbastanza lineare per tutta la sua durata, in bilico tra hard rock e jazz/rock.

Il sesto motivo è HARD LOVIN’WOMAN, brano dal ritmo deciso e sostenuto, dove Gillan narra le gesta di questa specie di ninfomane e che nelle esibizioni live a volte presentava, scherzando, come hard fuckin’ woman. E’ la volta di THE SPANISH ARCHER un brano veramente bello, il ritmo è deciso e di grande impatto. Blackmore straordinario. L’ottava traccia è STRANGEWAYS forse quella più particolare dell’album.

Qui respiriamo un’atmosfera quasi surreale così come il testo davvero interessante; a tratti assomiglia a una song dei Queen. La nona performance è la splendida MITZIE DUPREE; qui lasciamo perdere l’hard rock e immaginiamo di entrare in qualche club privè americano di un pò di tempo fa o prendiamo per esempio le atmosfere di un film come Blade Runner o un Marlowe d’annata.

Una canzone di alta classe dal contenuto bollente coronato da un’assolo di Blackmore da brividi. L’ultimo tassello per concludere l’opera è DEAD OR ALIVE. Qui si torna ad un più classico rock duro dove Paice viaggia a mille e Lord si fa sentire con un solo dei suoi seguito chiaramente dal man in black. Gillan come nelle nove tracce precedenti canta senza pecche.

Nel complesso è un album più che valido e paragoni con i vari in rock e machine head sono insensati e anacronistici; sono passati più di 15 anni e i deep purple hanno un pò riletto il loro sound abbinandolo anche a quello degli anni 80 ovviamente mantenendo come base il loro puro hard rock.

Se vi dichiarate fans porpora e non avete questo disco dovete rimediare subito! ciao Antonio

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