Steve Morse, intervistato da Mauro Salvadori

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L’album sorprenderà moltissimo i fan, mentre già la critica si è spaccata in due. A noi è sembrato bellissimo: finalmente la band propone un lavoro fresco, avvincente e anche molto orecchiabile, nel senso qualitativo del termine, a cui Steve Morse ha portato dei benefici in termini di idee e sound. Jon Lord & Co. hanno ritrovato la grinta e lo smalto che sembravano ormai aver perso con gli ultimi album. Ad una leggenda chitarristica come Ritchie Blackmore, personaggio piuttosto schivo ed imprevedibile, i rimanenti quattro hanno preferito un musicista genuino, preparato e soprattutto entusiasta di suonare. Di Steve Morse ci siamo occupati sul numero 87, e lì vi rimando per i dati biografici. Oggi Steve è un membro a tutti gli effetti dei Deep Purple, e se il buongiorno si vede dal mattino, Perpendicular è sicuramente la svolta della band verso nuovi sentieri musicali. Composto e prodotto dall’intera band, come nelle note di copertina ci tengono a sottolineare, il disco rispecchia in pieno l’incontro della cultura rock inglese con quella americana: assoli di chitarra al fulmicotone e tanta grinta dalla veterana sezione ritmica Glover-Paice, e se la voce di Ian Gillan sembra a tratti più morbida, Jon Lord ne approfitta per duellare e spesso suonare all’unisono con Steve. Vi rimando a piccoli capolavori come “Cascade: I’m Not Your Lover”, alla splendida ballad “Sometimes I Feel Like Screaming” per gustare il ritorno sulle scene di cinque professionisti che hanno ancora molta voglia di suonare. Simpatico e disponibile, nonchè memore del nostro precedente incontro al Namm di Los Angeles di qualche anno prima, Steve Morse non ha trovato niente di meglio che presentarsi con la sua inseparabile Music-Man blu, e tra una domanda e l’altra ci ha deliziato con qualche esercizio e performance chitarristica, la cui registrazione conserviamo gelosamente in un cassetto: non capita tutti i giorni di poter chiedere ad un maestro di esibirsi nei suoi esercizi e nelle sue esecuzioni più conosciute. Steve ha esordito con il suo personal picking per poi lasciarsi andare a questa sua nuova dimensione come chitarrista dei Deep Purple. “La prima cosa di cui mi sono preoccupato, quando il mio manager ha accennato alla possibilità di questo ingaggio, è stata chiarire immediatamente il mio possibile ruolo all’interno della band. La cosa più importante per me era poter contribuire con nuove idee, soprattutto dal punto di vista compositivo, ed in effetti le cose sono andate proprio così. C’è stata subito un’intesa umana e musicale con tutti gli altri ed abbiamo immediatamente cominciato a lavorare all’album. Abbiamo fatto un paio di concerti in cui ci siamo potuti confrontare ed in cui ho dovuto eseguire ovviamente determinate parti di chitarra in modo fedele all’originale, ma in cui ho anche avuto occasione di poter inserire in certi brani il mio stile chitarristico, per capire se il tutto poteva avere una sua funzionalità precisa e riuscita. Nulla di più facile, ci siamo subito capiti al volo e così eccomi qua, sono il nuovo chitarrista di una band che ho sempre ammirato.” [con l’aria decisamente felice] Immagino che ti sarai dovuto ripassare qualche assolo… “Beh, in effetti ho riascoltato più i nastri delle precedenti performance di Joe Satriani con la band, anzichè quelle di Blackmore originali, come forse sarebbe stato immaginabile; in verità avevo voglia di capire come Joe era riuscito ad inserirsi in breve tempo nella band. Ovviamente ho cercato di mantenere pressochè inalterati alcuni brani, ad esempio “Highway Star” [esegue davanti a me l’assolo] – sai questa progressione è ormai diventata un classico – oppure “Smoke On The Water” [suona il riff ed il solo]. Però la cosa bella è che con gli altri della band siamo riusciti a comporre del materiale altrettanto valido, così lì sono riuscito ad inventarmi delle parti di chitarra di cui sono realmente felice; insomma siamo riusciti a creare un affiatamento davvero notevole.” A questo proposito quale brano dell’album pensi che sia il più rappresentativo dello Steve Morse versione Purple sul piano chitarristico? “Direi senz’altro “Cascades, I’m Not Your Lover”, perchè abbiamo mantenuto certe componenti di fraseggio e risposta tra organo e chitarra che sono in qualche modo una caratteristica del sound Purple; e poi mi piace molto questa sequenza [suona davanti a me] così veloce, in cui posso usare la pennata alternata. Comunque sono soddisfatto di tutto il disco perchè, come ti dicevo prima, mi ha permesso di contribuire moltissimo sul piano della composizione.” Avete usato un metodo particolare in fase di composizione? “Beh, Jon è compositore e tastierista al tempo stesso, gli piace scrivere gli arrangiamenti, Roger è uno che ama registrare ogni idea in modo da poterla conservare per poterci eventualmente ritornare sopra, insomma, il materiale non ci è certo mancato, anche io avevo tutta una serie di spunti.” Nell’album ci sono anche parecchie parti di chitarra acustica, un fatto un po’ insolito per una band come i Deep Purple… “C’erano delle parti di chitarra che avevo scritto che mi sembravano più adatte ad essere eseguite su un’acustica, Roger aveva una Taylor ed il suo suono era molto azzeccato, e poi ho anche usato la mia AVP, ma anche una Steinberger 12 corde elettrica, che non è proprio la chitarra che sceglierei sempre, ma in questo caso mi piaceva molto il suono, e poi trovo che abbia un’ottima intonazione.” Per quanto riguarda la chitarra elettrica sei ancora coinvolto nella promozione della Music Man? “Certo, questa è la chitarra che ho usato per tutto il disco.” Mi sembra che recentemente anche un tuo esimio collega sia passato alla Music Man, parlo di Steve Lukather. “Oh, great, lasciami parlare un attimo di Steve, abbiamo fatto un paio di concerti insieme recentemente e ti assicuro che è veramente un grande, credo il mio favorito in questo momento, perchè vedi, la gente lo conosce solo come il chitarrista dei Toto, oppure come il turnista di lusso, ma invece ti posso assicurare che quando suona in situazioni diverse è capace di inventarsi delle cose impensabili. Sono contento che tu lo abbia citato, ha un orecchio incredibile ed è capace di costruire degli assoli sul momento assolutamente unici, pensa che io l’ho conosciuto solo recentemente e ne sono a dir poco entusiasta, e poi è davvero una persona squisita.” Una delle tue tecniche favorite è da sempre il chicken picking: la hai usata su questo album? “Certamente, il riff iniziale del primo brano l’ho eseguito tutto con le dita della mano destra [e qui Steve suona con grande maestria, dimostrando come il chicken-picking sia abbastanza vicino ad un certo tipo di slap applicato alle sei corde]. E’ una tecnica che amo molto, e poi mi piace passare dalle dita al plettro – molto consiste nel come tu riesci a tenere il plettro nel palmo della mano per poi usarlo subito dopo, ne guadagna il timbro e la sonorità.” Adesso che sei entrato nei Deep Purple quale sarà il futuro dei Dixie Dregs? “Beh, sto organizzandomi in funzione degli impegni presi dai Deep Purple, che non sono pochi – concerti, promozioni e via dicendo. Credo che non si sentirà parlare dei Dregs per un po’ di tempo. Invece sto incidendo un altro album con il mio trio, e siccome l’etichetta è la stessa di Structurale Damage, cioè la BMG che è al tempo stesso anche quella dei Deep Purple, questa volta l’album verrà distribuito in più paesi, specie quelli dove il mio materiale non era stato pubblicato precedentemente, e questo mi darà l’opportunità di far conoscere meglio la mia musica, e spero di potermi esibire dal vivo con la mia band ogni volta che se ne presenterà l’occasione.” Allora quella frase che mi dicesti tempo fa – “if you look after the music, the music will be look after you” [se ti prendi cura della musica la musica si prenderà cura di te] – si è rivelata azzeccata nel tuo caso? “Certamente, nel modo più assoluto. La musica per me è la cosa più importante e mi ha sempre regalato enormi soddisfazioni. Vedi, anche nel caso dei Deep Purple è andata proprio così: il fatto che io oggi faccio parte della band è per la loro chiamata, e la prima cosa che ho risposto è stata “o.k., suoniamo e preoccupiamoci soltanto della musica in se stessa, dimentichiamo tutto il resto”. A loro questa cosa è piaciuta moltissimo, ci siamo messi subito a suonare, le cose sono andate subito bene, la stessa cosa è avvenuta con il disco, il materiale si è susseguito insieme alle idee con una rapidità incredibile, l’entusiasmo è cresciuto sempre di più, ed ora eccomi qui… probabilmente se non avessi pensato così a modo mio, se fossi stato una persona differente, tutto sarebbe stato differente, quindi quella frase deve essere senz’altro vera ed io ne sono stato molto felice.” Questo tuo atteggiamento nei confronti della musica mi riporta ad un altro dei grandi con cui tu hai anche collaborato, Steve Howe, cosa ricordi di quelle incisioni su Industry Standard? “Oh il grande Steve, hai ragione, e mi dispiace di non aver potuto passare più tempo con lui; comunque in quell’occasione gli abbiamo spedito il nastro che noi stavamo incidendo in un altro studio, spiegandogli esattamente che tipo di parte musicale volevamo che lui eseguisse, e lui l’ha incisa per conto suo e ci ha rispedito il nastro, quindi non ho avuto in quel caso l’opportunità di suonare realmente con lui. Invece dopo, quando è entrato a far parte degli Asia, l’ho conosciuto personalmente e poi abbiamo fatto una jam. Io amo molto Steve, la sua attitudine nei confronti della musica, il suo stile chitarristico, pensa che abbiamo suonato di fronte ad una platea che avrebbe spaventato anche il musicista più scaltro, e Steve, con una chitarra che non era la sua, un amplificatore che non conosceva, per una canzone che non aveva mai sentito prima è riuscito ad inventarsi delle cose strabilianti, è stato addirittura spettacolare ed ha fatto un lavoro stupendo; mi piace davvero Steve, ed è stato un grande onore per me recentemente poter incidere un disco tributo agli Yes, lì ho avuto l’occasione di eseguire dei classici intramontabili: “Mood For A Day” e “The Clap” [e qui Steve ha accennato alcuni passaggi dei brani – per gli interessati il disco in questione, prodotto da Mike Varney su etichetta Magna Carta, è stato pubblicato recentemente con il titolo Tales From Yesterday] A questo proposito la domanda di rito… Steve, trovi delle differenze tra chitarristi inglesi e americani? “Senz’altro, non a caso mi piace proprio Howe, lui è stato il primo ad inventarsi certe cose passando dall’elettrica all’acustica, per me è stata una grande influenza. Ci sono delle differenze, e anche se gente come Jimmy Page o Jeff Beck è stata sicuramente influenzata dai grandi del blues americano, diciamo che come teenager ho sempre preferito un inglese che suonava del blues, non so… possedevano quel non so che, forse la velocità e anche il suono, che catturano l’orecchio di un giovane. Al tempo stesso ascoltavo anche Johnny Winter, oppure il chitarrista dei Cactus Jim McCarthy, però dall’Inghilterra sono usciti fuori così tanti chitarristi, Jimmy Page credo che abbia scritto tutti i riff possibili, e poi anche Clapton, Beck, e via dicendo, anzi Beck era talmente forte nel suono… uno Stevie Ray Vaughan del suo tempo. Anche Joe Walsh, nonostante non fosse inglese.” Dimentichi un tuo vecchio amico, Albert Lee… “Lui è bravissimo, ma è un chitarrista inglese che suona all’americana e tutti pensano che sia californiano.” Steve, domanda fatale… un consiglio per i chitarristi in erba.
“Innanzitutto consolidare il più possibile le proprie basi: buone cognizioni di lettura, tecnica, ascoltare e possibilmente saper suonare il maggior numero di stili. Ma questo è solo l’inizio, poi tutto dipende dal cuore e dalla capacità di far nascere l’artista che abbiamo dentro.” Steve, visto che hai la chitarra in mano… lo inventeresti qui al momento un esercizio in esclusiva per i lettori di Chitarre?? “Ah, questa è una domanda molto difficile… o.k., sei pronto con il registratore?”

Mauro Salvatori

 

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